Era il 15 di aprile del 1947, nel silenzio dell’Ebbets Field di Brooklyn entrò in campo con la maglietta dei Brooklyn Dogers il numero 42.
Davanti a circa 23.000 persone il numero 42 prese posizione sulla base.
Una data storica per il mondo dello sport.
Da non credere… il primo giocatore professionista di baseball afroamericano a rompere il muro della segregazione.
Infatti all’epoca esisteva una consuetudine secondo la quale i neri potevano giocare solo nella “Niger League”, campionato creato appositamente per gli afroamericani, poiché si credeva che fossero bravi solo in sport individuali (es. Jesse Owens – Berlino 1936).
Il numero 42 era Jack Roosevelt Robinson, detto “Jackie” ed il suo nome rimarrà scritto nella storia. Sarà il nome del primo giocatore afroamericano ad essere scritto nella Hall of Fame del baseball.
Gli uomini eccezionali non hanno vite semplici…
Un contratto da professionista deve essere stato il sogno di una vita. Ma fu solo l’inizio dell’avventura. Seppur bravo nel baseball la sua presenza non era tollerata dagli altri giocatori oltre che dagli spettatori.
Ci fu chi lo insultò, chi iniziò a scioperare se fosse entrato in campo il numero 42.
Per capirci, alcuni compagni di squadra arrivarono a firmare anche una petizione per cacciarlo.
Jackie tenne duro e non rispose mai agli insulti.
Mantenne sempre uno standard elevato di condotta personale e sportiva come previsto nel contratto nel paragrafo “loyalty”.
In pratica una clausola generica per racchiudere nel concetto di antigiuridicità anche la moralità dell’epoca (una clausola così ampia e pericolosa che al minimo errore si era fuori).
Si dice che al momento della firma del contratto, Jackie e il presidente dei Dogers, Branch Rickey fecero un accordo: se voleva continuare a giocare non avrebbe dovuto mai reagire agli insulti.
Robinson non si fece mai distrarre dal suo obiettivo.
Il suo scopo era scavalcare quel muro di ottusità mentale e vi riuscì.
Quanti sarebbero in grado di superare le avversità patite da Jackie?!
Immagino la paura di chi, essendo appena arrivato fra i professionisti da una categoria paragonabile al campionato dei dilettanti, ha visto un mondo intero schierato contro subendo vessazioni e non sentendosi accettato.
Soprattutto immagino l’orgoglio ferito, gli insulti subiti e la passività, alcuni pensarono a “un negro che ha paura di reagire” quasi tutti videro “un negro che ha abbastanza fegato per non farlo”.
Più grande è l’obiettivo più dura è l’impresa.
Giorni speciali…oggi come allora chissà se il 15 aprile 2020 ci donerà una svolta inaspettata.