Il 26 aprile del 1937 era un lunedì, una bella giornata, il cielo era chiaro. Era il giorno del mercato, una festa settimanale per il Paese che contava solo 10.000 anime.
La guerra si stava avvicinando, ma la vita scorreva come sempre.
La piazza del mercato era piena di contadini e di bestiame e poi al pomeriggio era prevista anche la partita di “pelota”.
Un giorno speciale per un ragazzo di 14 anni di nome Luis Iriondo che indossò per la prima volta i suoi pantaloni lunghi. Ormai era un uomo.
Non poteva andare a scuola perché il suo istituto era diventato una caserma e quindi aveva iniziato un lavoretto da apprendista aiutando un direttore di banca a consegnare delle comunicazioni.
Quel giorno era a lavoro, ed alle 16:20 suonarono le campane della Chiesa di Santa Maria.
Gli aerei si stavano avvicinando.
Le sirene di allarme antiaereo erano state dismesse perché creavano confusione nella popolazione che pensava ai cambi di turno della azienda cittadina.
Il rifugio più vicino era nella piazza del mercato, era costruito alla buona con sacchi di sabbia e travi di ferro.
In quel tempo non si sapeva nulla della forza devastante dei bombardamenti, erano tutti impreparati.
Il ragazzo era entrato fra i primi ed era finito in fondo nella parte più bassa del rifugio. Il pavimento era sporco e la sua più grande preoccupazione, essendosi rannicchiato, era sporcare i suoi pantaloni nuovi.
Sentirono un rombo e pensarono al passaggio di alcuni aerei forse solo per una ricognizione.
Dopo passaggio dei ricognitori molti cittadini uscirono pensando che il peggio fosse passato, ma 15 minuti dopo arrivò l’inferno.
In quel momento il ragazzo e gli altri abitanti rientrando nel rifugio iniziarono a pregare.
Provarono per dieci volte a recitare la preghiera “A Nostro Signore Gesù” ed ogni volta le bombe stroncarono in gola le loro voci.
Il bombardamento era passato, ma le fiamme e l’attacco avevano distrutto tutta la città.
Le vittime era ovunque, uomini, donne, anziani, bambini e animali. Un deserto di fuoco.
Quella fu la vergogna umana per la distruzione della città santa di Guernica.
In sole tre ore, 31 tonnellate di bombe incendiarie causarono oltre 1.700 morti, 900 feriti e la distruzione dell’85% degli edifici.
Chi ha vissuto quella tragedia come è riuscito a voltare pagina? Dopo un dramma del genere si riesce a tornare alla vita normale? (Domande anche attuali in periodo di coronavirus).
È da stolti sperare in una vittoria del bene sul male?
È da stolti ritrovare la fede e credere in Dio o credere nella pace fra gli uomini?
La storia umana non è confortante, quante Guernica abbiamo visto? Abbiamo studiato la storia dei bombardamenti di Napoli, Dresda, Coventry, Hiroshima e Nagasaki.
Forse non abbiamo imparato abbastanza bene la lezione visto ciò che è successo alle città Aleppo, Tripoli e Grozny.
La teoria della terra bruciata, propugnata nefastamente da Germania e Italia; poi ripresa dall’Inghilterra, dagli Usa e dalla Francia ed adottata da Russia ed Iran, si ripete ormai da decenni e si sposta di meridiano in meridiano nel mondo.
I fatti dolorosi fanno più male delle buone notizie, ma forse stiamo vincendo la guerra. Probabilmente non è un caso che spostandosi di meridiano in meridiano, la teoria della terra bruciata, non lasci solo devastazione ma anche ricordi per ricominciare a far germogliare la vita. Una vita migliore.
Se la storia è un insieme di fatti umani legati fra loro da rapporti di causa ed effetto, allora nessun fatto storico rimarrà senza conseguenze per l’intera umanità.
Sant’Agostino affermava che: “qualsiasi evento storico, per quanto nefasto possa essere, è sempre posto su di una via che porta al positivo, ha sempre un significato costruttivo.”
Infatti, dalle ceneri del bombardamento di Guernica sono nati due simboli positivi per l’intera umanità: uno è il più famoso quadro di Pablo Picasso, manifesto contro la violenza della guerra; e l’altro è rappresentato dal Gernikako Arbola, l’albero della pace.
Quest’albero, piantato nel sec. XIV e conosciuto come Albero Padre, ha generato con le proprie ghiande i suoi successori, i quali proseguendo la tradizione di padre in figlio resistono agli eventi della Storia anche ai più nefasti.
Così come l’albero della Padre, anche l’uomo sopravviverà alle crudeltà degli eventi, passandosi la ghianda del ricordo di padre in figlio affinché possa rinascere la vita e la pace dove prima c’era solo devastazione, dolore e terra arsa.
Alla fine vinceremo.
Giorni speciali…oggi come allora chissà se il 26 aprile 2020 ci donerà nella tragedia una svolta inaspettata.